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 leggende sui cavalli 
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Il motivo per cui la parola "incubo" in inglese è tradotta con "nightmare", ossia "giumenta della notte", è dovuto al fatto che nel Medioevo si pensava che i brutti sogni fossero causati dal Maligno che arrivava alle finestre delle case a cavallo della sua nera giumenta, entrava nelle case, scendeva da cavallo e si sedeva sul petto delle persone soffocandole con le sue mani nere e causando sudore, affanno e brutti pensieri!

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FAFFACHAN
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venerdì 26 maggio 2006, 15:57
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<b>BABIECA</b> Uno dei più importanti eroi del cristianesimo fu Ruy (o Rodrigo) Diaz de Bivar, che guidò la Reconquista, la serie di guerre che pose fine a 700 anni di occupazione moresca della penisola iberica. Ruy Diaz, universalmente noto come El Cid o El Campeador, nacque verso il 1040 a Vivar, un paese della Casstiglia vicino a Burgos. Spietato soldato di professione, passò alla leggenda come un eroe, il salvatore del paesse. Le sue imprese sono celebrate in un'epopea del XII sec., "Cantar de mio Cid", seguito da "Cronica Particular del Cid (1512), che raccontano sia dell'uomo sia di Babieca, il cavallo bianco su cui combattè per trent'anni. Il cavallo era un dono del padrino di El Cid, un prete chiamato Peyre Pringos (Pierini il Grasso): egli offrì al giovane una scelta dei migliori puledri, poichè i monasteri spagnoli, come quello dei Certosini di Jerez de la Frontera, erano per tradizione impegnati nell'allevamento dei cavalli. Il ragazzo scelse un animale particolarmente immaturo e insignificante, facendo esclamare all'esasperato prete "Babieca!" (Stupido!), il nome con cui il cavallo divenne famoso. Ideale destrieero da battaglia, Babieca era della razza oggi nota come Andaluso. Anche se piuttosto massiccio, probabilmente non superava i 154 cm., ma era assai reattivo, agile e pieno di "brio escondido", che gli dava ardore e coraggio. El Cid morì nel 1099 a Valenza durante l'assedio. La notizia della sua morte avrebbe inferto un duro colpo al morale delle truppe e ridato coraggio al nemico: si stabilì di legare alla ssella di Babieca il suo corpo armato di tutto punto, con lo scudo al suo posto e la spada eretta nella mano senza vita. A mezzanotte venne fatto uscire dalla città, verso il campo dei mori, alla testa dei suoi cavalieri. Questi erano tutti vestiti di bianco e portavano bandiere bianche e il viso del Cid risplendeva attraverso la visiera aperta dell'elmo, di una "luce soprannaturale". L'apparizione spettrale, sul cavallo bianchissimo, lanciatto al galoppo davanti ai ranghi compatti e silenziosi, fece fuggire i mori al grido che El Cid era tornato dal regno dei morti. Gli spagnoli li inseguirono senza concedere tregua. El Cid fu sepolto nel monastero di San Pedro de Cardena, vicino a Burgos, ma in seguito il suo corpo fu trasferito nella stessa cattedrale di Burgos. Babieca non venne mai più cavalcato. Morì due anni dopo, a quarant'anni, custodito dai padri certosini di Jerez de la Frontera.

<b>MARENGO(storia e nn leggenda)</b> Anche se l'Imperatore Napoleone I aveva 130 cavalli per suo uso personale, il suo preferito era sicuramente un piccolo stallone bianco Arabo, a cui era stato dato il nome di Marengo a ricordo della battaglia del 1800 in cui con coraggio servì il suo padrone. Era stato importato dall'Egitto dall'età di 6 anni, nel 1799, dopo la battaglia di Abukir. Probabilmente proveniva dal famoso allevamento di El Naseri. Era alto solo 145 cm ma era il compagno ideale per Napoleone, che era corpulento, aveva le gambe corte e inoltre, secondo il maestro d'equitazione generale de Caulaincourt, era duro con i suoi cavalli ed era un cavaliere neppure particolarmente elegante. Era noto per aver percorso a cavallo la distanza tra Vienna e Semering (80 km) prima di colazione e per aver galoppato più di una volta da Valladollid a Burgos (129 km) in cinque ore. Pare che Marengo avesse una costituzione straordinaria: era rapido, obbediente, calmo sotto il fuoco nemico e coraggioso, una qualità questa che non mancava al suo imperiale padrone, la cui apparizione nei momenti di crisi rinvigoriva le truppe. Marengo, che fu ferito otto volte, portò Napoleone nelle battaglie di Austerlitz (1805), Jena (1806), Wagram (1809) e di Waterloo (1815). Era tra i 50 cavalli che costituivano la scuderia personale di Napoleone nella campagna di Russia del 1812 e fu uno dei ppochi a sopravvivere alla terribile ritirata da Mosca. Fu catturato dopo la battaglia di Waterloo e portato da Lord Petre in Inghilterra, dove venne acquistato dal generale dei granatieri J.J.Angerstein. Fu adibito alla monta nell'allevamento di New Barnes, vicino a Ely, quando aveva 27 anni, ma l'esperimento non diede buoni risultati. Marengo morì a 38 anni. Il suo scheletro, al quale era stato tolto uno zoccolo, è esposto al National Army Museum a Sandhurst. Lo zoccolo fu messo in una tabacchiera e il generale ne fece dono al Corpo Ufficiali della Brigata delle Guardie.

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Cavaliere ascolta..
Mi piacciono le praterie, i grandi spazi. Fammi lavorare soprattutto in campagna, essa è la mia gioia di vivere. Ti darò in cambio il meglio di me stesso. Non amo vivere solo, ho bisogno di compagnia, della compagnia dei miei simili, per galoppare, per mangiare, per giocare oppure per litigare.
Ti prego non abbandonarmi.
by Stephane Bigo


sabato 27 maggio 2006, 0:02
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<b>COPENHAGEN</b> Copenhagen, il destriero sauro di Arthur Wellesley, duca di Wellington, ricevette durante la sua vita il tipo di adulazione che oggi viene riservata ai campioni dello sport. Era un tipico Purosangue Inglese dell'inizio del XIX secolo, alto poco più di 152 cm, che conservava forti caratteristiche Arabe. Il suo pedigree registrava linee che risalivano sia a Darley Arabian sia a Godolphin Arabian. Fu generato da Meter, un figlio di Eclipse, che giunse secondo al Derby di Epsom. La madre era Lady Catherine, la giumenta cavalcata dal generale Grosvenor all'assedio di Copenhagen. Wellington lo acquistò in Spagna da Sir Charles Stewart, lo cavalcò durante la Campagna di Spagna e andò a caccia con lui e con una muta di cani portati dallìInghilterra. Copenhagen si fece benvolere dalle truppe salutando con nitriti eccitati chi se ne andava: ma un'altra sua caratteristica, quella di scalciare se qualcuno gli si avvicinava troppo, gli assicurò lo stesso rispetto accordato al suo austero padrone. Il "giorno glorioso" di Copenhagen, condiviso con il suo padrone, fu il 18 giugno 1815, la data della battaglia di Waterloo, che vide la definitiva sconfitta di Napoleone. Il giorno prima della battaglia il Duca cavalcò Copenhagen dalle 10 del mattino alle 8 di sera senza pausa. E il 18 giugno per 15 ore, durante le quali assunse il completo controllo della battagli, galoppando da una posizione avanzata all'altra per sostenere e incoraggiare le sue truppe. Quando, alla fine della giornata, Wellington smontò, Copenhagen aveva abbastanza energia per scalciare all'indietro, mancando il nobile padrone di pochi centimetri. Morì nel 1836 all'età di 28 anni e fu seppellito con tutti gli onori militari a Stratfield Saye, la residenza del duca nella campagna dello Hampshire. La sua lapide reca inciso un distico tratto dal poema commemorativo "Epitaph", scritto per lui da R.E.Egerton Warburton "Il più umile strumento di Dio, per quanto infima argilla,dovrebbe condividere la gloria di quel giorno glorioso". Il Duca srisse del suo destriero: Ci saranno cavalli più veloci e indubbiamente più belli, ma in quanto a quarti e resistenza non ne ho mai visti di simili !

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by Stephane Bigo


sabato 27 maggio 2006, 0:04
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