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 leggende sui cavalli 
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Messaggio leggende sui cavalli
Cavalli Verdi "Caddos birdes"

Prima della distruzione dei boschi in Sardegna, la valle del Temo era una grande foresta di querce, sughere e con una vegetazione sottostante impenetrabile, dove vivevano tante specie di animali tra questi i leggendari Cavalli Verdi "Caddos birdes". La storia di tale cavallo pare sia molto antica ed estesa anche in altre località, ma a Monteleone questa leggenda è più radicata per detti e per aneddoti, qui esiste anche una località detta "Sa urmina de su caddu 'irde", un punto ben preciso dove l'orma del cavallo verde sarebbe impresso nella roccia. La località si trova a Monte Germinu. Fino alla metà del secolo scorso esistevano in Sardegna dei cavallini selvaggi non molto più grandi di una pecora ed abitavano in foltissime aspre e selvagge gole in prossimità dei fiumi. Il colore del manto verde pare fosse dovuto ad alcune specie di alghe che si sviluppavano favorevolmente tra il pelame dell'animale.

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venerdì 17 giugno 2005, 12:47
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I cavalli infernali
Alcune leggende affermano che le anime dei defunti sono trasportate da dei cavalli infernali che trascinano una carrozza priva di conducente. Essi attraversano, galoppando a velocità folle, il vecchio sentiero che da Roccascalegna porta al cimitero, percorrendo un ampio bosco di querce.
Una buia notte della prima metà del novecento, un uomo stava percorrendo questo sentiero, quando sentì il rumore di una carrozza che veniva verso di lui a velocità folle. L'uomo, dapprima sorpreso e poi spaventato, si nascose sul ciglio della stradina giusto in tempo per vedere questa carrozza diabolica, trascinata da dei cavalli neri come l'inferno da cui erano usciti. L'uomo vide che la carrozza era priva di conducente e gli parve di scorgere una donna all'interno di essa, probabilmente quella che era morta poche ore prima.
Un altro cavallo infernale pascola nei pressi di una grossa quercia chiamata " Quercia di Evangelista", sul ciglio della strada provinciale che unisce Roccascalegna a Torricella Peligna. Questo cavallo nero, con una lunga criniera, scaglia fuoco e fiamme dalle narici.
Il suo cavaliere a volte è vestito di nero ed è senza testa, a volte è vestito di bianco e riposa all'ombra della quercia; il più delle volte il cavallo è privo di cavaliere e lascia orme di fuoco.
All'imbrunire di una sera di primavera, un uomo stava tornando a casa tirando il suo asino, quando, all'altezza della famosa quercia gli parve di vedere un uomo a cavallo. L'uomo si fermò un attimo per vedere meglio il cavaliere e fu in quel momento che si accorse che l'uomo era privo di testa.
Alcuni anni prima della Grande Guerra un uomo andò a lavorare nei campi presso la quercia, quando vide un uomo vestito di bianco seduto ai piedi dell'albero.
Il contadino credette di riconoscere, in quest'uomo un suo amico che non vedeva da anni, ma non appena cerco di avvicinarsi un cavallo nero come la notte gli si parò davanti. Questo demoniaco destriero lasciava impronte di fuoco e le sue narici emettevano fiamme. Il povero contadino fuggi via atterrito e per molti anni evitò questo posto.
Ovviamente questa è una leggenda e come tale ha un fondo di verità. Probabilmente essa è nata dalla forma ieratica della quercia, che di notte disegna strani ghirigori, quando la luna illumina i suoi rami rendendoli, agli occhi dei viandanti, vivi

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venerdì 17 giugno 2005, 12:50
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che bello, Red!!! io posterei questo, non so se definirlo una leggenda(non si è certi dell'esistenza di questo cavallo)...

BUCEFALO
Si narra dunque che un giorno un tessalo di nome Fìlonico portasse a Filippo uno splendido cavallo proponendogli di acquistare per il prezzo di tredici talenti. Esitò il monarca di fronte a questa cifra esorbitante e chiese all'uomo che il cavallo venisse provato.

Ma lo stallone non si lasciò montare da nessuno:

allora Alessandro, giovanissimo, appena quindicenne, chiese il permesso di tentare. Avendo notato che il cavallo si spaventava alla vista della sua ombra, il ragazzo lo volse con il muso verso il sole e poi, rapido e leggero, gli balzò in groppa:

quindi, un po' trattenendolo, un po' dandogli redini, tra lo stupore generale, riusci dove gli altri avevano fallito.

Bucefalo divenne cosi il cavallo da combattimento preferito dell'eroe e, dopo aver portato di battaglia in battaglia e di vittoria in vittoria il suo padrone dalla Macedonia all'Himalaya, mori in combattimento.

Alessandro pianse il fedele compagno di tante battaglie, gli rese solenni onori funebri, gli innalzò statue in Grecia e fondò oltre l'Indo, sul lontano Idaspe, una città che ne perpetuasse nel nome il ricordo: Bucefalia.

Chissà dunque che l'incisore di questa tetradraema non abbia voluto, per far cosa grata al suo re, ritrarre sotto le spoglie ufficiali dell'efebo vincitore di Olimpia, un episodio che aveva riempito d'orgoglio paterno Filippo e che suonava, in quel momento glorioso per la Macedonia, quasi un presentimento del suo futuro destino.


. [img]/public/uploaded/forum/Silvi@/200561713813_bucefaloEalessandro.jpg[/img] 9,97 KB

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venerdì 17 giugno 2005, 13:08
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non c'entra molto...però qualche leggenda c'è!!
guardate che belle le monete equestri!!![;)]

http://www.medicavalli.com/le%20monete% ... 0index.htm

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venerdì 17 giugno 2005, 13:10
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queste poesie sono molto belle...non sono leggende però sono sicura che ti piaceranno...

"Ma a Te che voterò, dimmi, Signore,
che alle creature insegnasti ad ascoltare?
Il mio ricordo di una sera, in Russia,
primaverile- di un cavallo bianco...
Se ne veniva solo dal villaggio,
appeso alla caviglia anteriore il paletto,
per essere solo la notte sui prati,
come sbattevano sul collo i riccioli
dalla criniera al prepotente ritmo
del suo goffo, inceppato galoppo; e s'impennavano
le fonti del suo sangue!
Come sentiva la vastità! E cantava
e ascoltava - la tua leggenda
era chiusa in lui.
A te voto la sua immagine...



TRATTO DA "CAVALLO AMORE MIO" "sonetti a Orfeo" R.Maria Rilke

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Il y a plaisir plus grand que celui de tuer: celui de laisser la vie
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venerdì 17 giugno 2005, 13:26
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Un'altra...

Cos'è una cavallo? E' libertà indomabile che diventa inutile imprigionarlo affinchè serva all'uomo: si lascia addomesticare, ma con semplice movimento, uno scarto ribelle della testa - scuotendo la criniera come capigliatura sciolta - dimostra che la sua intima natura è sempre indomita, limpida e libera.

Clarice Lispector

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venerdì 17 giugno 2005, 13:31
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qualche curiosità....:

Il termine janara sembra, invece, provenire dal latino ianua (porta) che indicherebbe proprio l'insidia portata dalle streghe al focolare domestico, superato l'uscio di casa. Altri ritengono che provenga dall'evoluzione della parola dianara dove l'iniziale consonante d si è trasformata nel tempo in j, e che il termine originario discenda dagli antichissimi culti dedicati a Diana, la dea della Luna e degli incantesimi notturni.

Le janare si trasformano spesso in cavalli e pertanto possono essere scoperte dai segni dei chiodi della ferratura sulle loro mani, perché il diavolo cavalca sui cavalli delle streghe. Secondo molte leggende delle zone alpine, quando un prete infrange i voti del celibato viene indirettamente punito (sic!) con la trasformazione notturna della sua perpetua in cavallo. Alla morte del religioso, ella verrà definitivamente portata via dal diavolo.

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venerdì 17 giugno 2005, 14:41
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Complimenti a tutti!!!!!!


La Nascita Di Sleipnir
Ennesima testimonianza di scaltrezza e d'astuzia unite alla congenita ambiguità sessuale di Loki, il racconto della nascita del portentoso destriero ottipede cavalcato da Odino istituisce un ulteriore collegamento simbolico tra il signore degli inganni ed il padre degli dèi. Questa parentela complica la già problematico classificazione di Loki, ribadendo il suo carattere di dispensatore di affanni e di aiuti allo stesso tempo, pronto a «coprire di vergogna gli Asi» oppure a risolvere con il suo ingegno qualche loro intricata situazione. A quei tempi la rocca di Asgardh aveva come unica difesa contro gli attacchi dei giganti la sua posizione geografica: i bastioni naturali, le rocce scoscese ed i dirupi disseminati tutt'intorno rappresentavano una barriera difficilmente superabile. Ma, considerate l'incredibile forza e malvagità dei colossi dello Jútunheim, gli dèi pensavano, ormai da tempo, di fortificare la cittadella divina con delle mura spessissime, indispensabile ostacolo da opporre alla continua minaccia di attacco. Si racconta dunque che, proprio in quei giorni, si presentò all'assemblea divina un mastro muratore il quale, interpretando i desideri degli dèi, affermò di essere in grado di costruire delle mura così robuste che né i giganti né altre oscure forze del male avrebbero mai potuto distruggere. E, quasi a voler magnificare ancor di più la sua abilità, egli disse di poter svolgere il lavoro in «tre mezzi anni». Gli dèi, di fronte a tanta sicurezza, rimasero senza parole: nessuno di loro aveva mai pensato di realizzare la fortificazione in così breve tempo. Ammaliati dalle parole del mastro e sognando una pace duratura salvaguardata da mura inespugnabili, chiesero all'artigiano come volesse essere ricompensato. Grande fu la meraviglia e lo sconforto degli Asi quando seppero che il mastro pretendeva in cambio della sua opera la bellissima Freya, orgoglio di tutta Asgardh, oltre al sole e alla luna. Si tenne una tumultosa assemblea per decidere sul da farsi e, infine, venne pattuito che il muratore avrebbe ricevuto il suo compenso solo se avesse costruito la fortificazione in un solo inverno e senza farsi aiutare da nessuno. Un po' contrariato, il mastro muratore accettò le condizioni divine, ma chiese di poter utilizzare, quale unico aiuto, il suo cavallo, lo stallone Svadhiìfari: dopo una rapida consultazione ed ascoltato il parere di Loki, gli dèi accettarono. Immediatamente il muratore si mise al lavoro. Nelle gelide notti invernali, sfidando la pioggia e la brina, esponendosi a temperature rigidissime, l'artigiano caricava grossi macigni in groppa al suo cavallo che li trasportava sulla rocca di Asgardh. Di giorno, poi, pietra su pietra, il muratore innalzava mura granitiche, maestose ed imponenti come nessuno mai ne aveva viste. Negli Asi, sebbene fossero avvezzi a ben altri portenti, destava immensa meraviglia vedere tutti quei massi, delle vere e proprie montagne ridotte. in frammenti trasportati senza fatica da Svadhilfari: temevano che, con un simile aiuto, il mastro avrebbe potuto facilmente rispettare i termini di consegna. Dei resto, il contratto era stato stipulato davanti a testimoni e sotto i sacri vincoli del giuramento: non si poteva certo non rispettarlo e infangare cosi l'onore divino. I primi segni dell'estate annunciarono l'imminente scadenza dei termini contrattuali e, perfetta in ogni sua parte, la fortificazione era quasi del tutto costruita. Tre giorni prima dell'estate, quando mancava solo la porta all'intera costruzione, gli dèi, preda dello sconforto, si riunirono in assemblea. Scuri in viso, immaginando l'atmosfera tetra nella quale sarebbe piombata Asgardh dopo la partenza di Freya e la sparizione degli astri più leggiadri, riandarono con la memoria ad un anno prima. Allora, seguendo il consiglio di Loki, avevano accettato l'offerta del mastro muratore, avevano sottoscritto il documento che adesso decretava le loro angosce. Senza dubbio il colpevole era ancora lui: l'architetto d'ogni malvagità, l'ispiratore di mille inganni e tranelli, l'essere senza alcuna coscienza e bontà d'animo, Loki il maledetto. E poco mancò che il signore dell'ambiguità perisse sotto la calca divina che, animata da una furiosa rabbia, gli si stringeva intorno insultandolo e promettendogli tremende pene. A stento Loki riuscì a convincere gli dèi che, nonostante tutto, niente era ancora perduto: con la sua arte avrebbe impedito al mastro di completare l'opera. Non vedendo altra soluzione, gli Asi lasciarono libero Loki, minacciandolo di morte se i suoi piani non avessero avuto successo. Quella sera stessa, mentre era intento a trasportare i pesanti massi, Svadhilfari sentì un nitrito che proveniva dal bosco. L'inconfondibile richiamo equino preannunciava l'arrivo di una leggiadra cavalla che, di lì a poco, gli si parò innanzi. Quella giumenta era davvero una visione! La sua criniera ondeggiava dolcemente, seguendo gli agili movimenti diretti da muscoli stupendi, un vero capolavoro che sembrava uscito dalla bottega di uno scultore ispirato dagli dèi. Inoltre le narici dello stallone erano impregnate di quell'odore impalpabile e indeserivibile, condensato delle voglie amorose risvegliate dalla natura nella bella stagione, che il sesso della cavalla spandeva tutt'intorno. Svadhiìfari, a ragione, non poté sopportare a lungo quel tormento: cedendo all'istinto, strappò le redini ed abbandonò il suo posto di lavoro; liberi di inseguire solo i loro desideri, i due animali galopparono felici tutta la notte. Invano il mastro muratore tentò di catturare lo stallone: solo all'alba, sfinito e sognante, pago dell'avventura notturna, Svadhiìfari si ripresentò al suo padrone. Ma quel giorno, ovviamente, il lavoro non procedette come al solito: il desiderio e la passione ottenebravano ancora la mente dello stallone, ricordandogli le sgroppate sotto la luna, le innumeri danze d'amore equino che gli avevano fatto scoprire il mondo del piacere. Ora che il cavallo non poteva più aiutarlo, il mastro muratore capi che non sarebbe mai riuscito a rispettare i patti. Malmenando lo stallone che, sempre più fiaccamente, trascinava il suo carico di pietre, il muratore prese ad inveire contro tutto e tutti. Le sue grida bestiali, terrificante espressione sonora di una rabbia infinita, risuonarono in tutta Asgardh, richiamando l'attenzione degli Asi. Gli dèi riconobbero in quei suoni disumani la furia tipica dei malvagi abitanti dello Jótunheim: era un gigante, dunque. Come ricorda un antico poeta nordico, «si negarono i giuramenti, le parole date e le promesse e tutti i patti»: con i giganti essi non valevano, con loro si rispettava solo la legge del più forte. Come erano soliti fare in quei casi, gli dèi chiamarono Thor, l'eterno nemico dei colossi del gelo, e, senza nemmeno sentire le sue ragioni, il signore del tuono scagliò Mjdlnir contro il gigante muratore. L'arma sacttò fendendo l'aria e colpì inesorabilmente la gigantesca testa: mille schegge volarono tutt'intorno, disseminando sangue e materia grigia. Il corpo del gigante andò a raggiungere altri cadaveri infami nelle profondità di Hel. Tutti gli Asi resero omaggio a Thor che, ancora una volta, aveva salvato l'onore di Freya e impedito la scomparsa degli astri più cari. Forse fu per questo che nessuno notò un certo gonfiore del ventre di Loki, che era stato il vero artefice di quel salvataggio in extremis. Dopo un certo tempo infatti il dio partorì, tra lo stupore generale, un magnifico puledro, un eccezionale esemplare grigio che, cosa davvero strabiliante aveva otto zampe, tutte perfette. Solo allora si comprese a quale sotterfugio fosse ricorso Loki per distogliere lo stallone del gigante dal suo lavoro. E, tra lazzi ed ammiccamenti, risero degli strani appetiti sessuali del dio, del quale era già nota l'effeminatezza: ma questa stia avventura andava ben oltre i confini dell'inimmaginabile. Solo Odino, osservando il destriero figlio di Loki galoppare veloce più del vento, trovò parole d'elogio per Loki. E, ricordando che una volta «avevano mescolato il loro sangue» divenendo fratelli, gli chiese in dono il cavallo. Da allora, in groppa a Sleipnir questo il nome del frutto del ventre di Loki Odino sfrecciò nel cielo, sulla terra e sulle onde dei mari nordici, rinnovando così l'ambigua alleanza con Loki, il «maledetto».

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I cavalli di Achille, Xanto e Balio
(Achille aveva un terzo cavallo, Pedaso, ma questo mortale)
Balio e Xanto: cavalli immortali, velocissimi. Erano figli di Zefiro e dell'arpia Podarge ed erano stati donati dagli dèi a Peleo il giorno delle sue nozze con Tetide. Erano dotati del dono della parola.
Secondo una delle leggende, Balio, nel suo dolore per la morte di Achille, vorrebbe fuggire la società umana, ma le Moire vogliono che serva anche a Neottolemo e lo porti più tardi nell'Elisio. Xanto nell'Iliade (XIX, 408-417) parla ad Achille predicendogli il destino di morte.

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venerdì 17 giugno 2005, 15:30
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L'ORIGINE DEL CAVALLO CAMARGUE

Nettuno,Dio del Mare, percorreva il suo dominio sul suo carro trainato da nove cavalli bianchi, quando, passando davanti all'imboccatura del fiume-re, Lou Rosè, il Rodano dalle molteplici braccia, egli incontrò un umano che si era immerso e nuotava lamentandosi, non sembrando trovare alcun piacere nel suo bagno. Nettuno un pò irritato gli domandò: "Chi sei tu, borbottò puntando verso di lui il suo tridente, e perchè vieni nel mio regno se non è per tuo piacere, nè per trovarvi il tuo nutrimento?"

"Sono Lou Camarguen, il Camarghese, rispose lui, fissando le tre punte di bronzo dirette verso di lui. Abito entro i bracci del Rodano, un posto magnifico, dove il cielo e la terra si specchiano negli stagni...."

"Se il tuo paese è così bello, perchè riempi il mio coi tuoi lamenti?" lo ínterruppe Nettuno sempre più irritato.

"E' che sono obbligato a coabitare con un infernale toro nero che,appena mi scorge, prende un piacere maligno a caricarmi con le sue corna a forma di lira. Io non ho altra risorsa che la fuga e non trovo scampo che nel tuo impero, o grande Nettuno. Quando la dolce brezza estiva accarezza il campo azzurrato della tua mobile dimora, ciò mi è di grande piacere, credimi, ma d'inverno, quando Eolo invia il grande Místral che piega le tameríci, inclina le canne e copre le acque di spume agitate, ciò diventa un supplizio, Gran Dio degli Oceani...."

Nettuno che incontrava sovente degli umani in difficoltà dal tempo dei naufragi e delle battaglie navali e che, in fondo, non era un cattivo soggetto, volle dare una possibilità al Camarghese nei confronti del suo avversario cornuto. Egli staccò dal suo carro il cavallo di testa e gli disse: "Ecco il mio miglior cavallo; se tu saprai fartene un amico, egli sarà per te un alleato insostituibile di fronte al nero toro. Ma ricordati sempre che egli viene dall'immensítà del mare e che è stato condotto da un dio: qualsiasi cosa tu faccia, occorrerà, quando a lui sembrerà opportuno, lascíarlo libero da ogni impedimento per venire a respirare a piene narici le sue origini marine e divine."

Il Camarghese pieno di gratitudine ringraziò Nettuno che, in un gorgo, disparve di nuovo sotto la superficie delle acque. Quindi egli si sentì in dovere di blandire il troppo focoso animale che nessun umano aveva mai avvcinato. Quando potè montare sul suo dorso e dirigerlo a modo suo, egli decise a sua volta di perseguitare il nero toro.

Un giorno che l'uomo osservava le due punte acumínate, superbe difese del suo avversario cornuto, si ricordò delle tre punte di ferro dirette verso di lui da Nettuno. Egli seppe allora come avrebbe potuto infine imporre la sua legge al toro fornito di corna a forma di lira. E da allora, si possono vedere in Camargue, degli uomini armati di trídenti, montati su eccezionali cavalli bianchi, condurre degli indocili tori neri.

E si possono scorgere anche dei meravigliosi cavalli liberi divertirsi giorno e notte nella terra salmastra.

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venerdì 17 giugno 2005, 17:36
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meravigliosa!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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venerdì 17 giugno 2005, 17:45
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La leggenda del cavallo senza testa

Nasce nella Catania del 700. Leggenda ambientata nella Via Crociferi ed in passato residenza di nobili che vi tenevano i loro notturni incontri o intrighi amorosi che dovevano esser tenuti nascosti. Quindi, essi fecero circolare la voce che di notte vagasse un cavallo senza testa, voce che intimorì la cittadinanza ed impediva alle persone di uscire di casa una volta calate le tenebre. Soltanto un giovane scommise con i suoi amici che ci sarebbe andato nel cuore della notte, e, per provarlo, avrebbe piantato un grosso chiodo sotto l’Arco delle Monache Benedettine. Gli amici accettarono la scommessa ed il giovane si recò a mezzanotte sotto l’arco delle monache, e vi piantò il chiodo ma non si accorse di avere attaccato al muro anche un lembo del suo mantello, quindi, quando volle scendere dalla scala, fu impedito nei movimenti e, credendo d’esser stato afferrato dal cavallo senza testa, morì. Pur vincendo la scommessa, la leggenda fu confermata.

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venerdì 17 giugno 2005, 17:51
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adoro queste storie...e tiè beccateve questa...
Bucefalo (in greco #914;#959;#965;#954;#941;#966;#945;#955;#959;#962; Boukephalos, in latino Bucephalus) era il cavallo di Alessandro Magno.

Il nome proviene da #946;#959;#8056;#962; (boos), bue, e da #954;#949;#966;#945;#955;#942; (kephalê), testa.

Bucefalo era della migliore razza tessalica (la regione greca dalla quale provenivano i centauri). La testa di bue di Bucefalo era un'allusione alla sua imponente stazza (molto più grande degli altri cavalli dell'epoca) e alla sua somiglianza con tale animale: fronte larga, narici distanti, profilo leggermente concavo (caratteristico dei cavalli di razza orientale, in particolar modo della razza della Tessaglia). Bucefalo aveva un mantello nero e una stella bianca sulla fronte e un occhio azzurro, di colore diverso dall'altro. Sul fianco portava una macchia a forma di toro.


Alessandro e Bucefalo alla battaglia di Isso (Museo Nazionale di Napoli)Nel 342 AC, Filippo il Macedone acquistò da Fìlonico di Tessaglia, il cavallo Bucefalo all'impressionante somma di 13 talenti. Ben presto si rese conto delle difficoltà di domare il cavallo e pensò di restituirlo al precedente proprietario, tanto questi era recalcitrante alla monta e turbolento.

Il giovane Alessandro, osservando il comportamento del cavallo, si propose di montarlo e, nella sorpresa generale, vi riuscì. Alessandro aveva notato che Bucefalo aveva paura dei movimenti della propria ombra e quindi, una volta in groppa, lo rivolse col muso verso il sole prima di lanciarlo al galoppo.

Da allora, Bucefalo non si lasciò montare da nessun altro e Alessandro non ebbe un altro destriero. Accompagnò per quasi un ventennio il suo padrone nelle battaglie, alla conquista del mondo conosciuto.


Statuetta di bronzo di Alessandro in groppa a Bucefalo (Museo Nazionale di Villa Giulia, Roma)Il soldalizio tra Bucefalo e Alessandro non si spezzò se non con la morte. Durante la battaglia dell'Idaspe che contrappose i Macedoni di Alessandro all'armata di Poro, re indiano della regione del Punjab, nell'anno 326, Bucefalo riportò ferite mortali. Malgrado ciò, non permise al suo padrone di montare un altro cavallo e, facendo appello alle ultime sue forze, lo portò alla vittoria.

Alla sera, coperto di sudore e di sangue, Bucefalo si stese al suolo e morì per le ferite ricevute all'età di 30 anni.

Bucefalo fu sepolto con gli onori militari e sul luogo della sua sepoltura, fu fondata la città Bucefalia.

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venerdì 17 giugno 2005, 17:55
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scusate per i numeri..volevo riportare la scrittura greca..
non è una leggenda ma giusto onore ad un cavallo nella storia!!!

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venerdì 17 giugno 2005, 17:57
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ne avevo già parlato io...qualche post più in alto!![;)]
erò nel tuo c'è anche la descrizione fisica!![:D]

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